Errare humanum est

Errare humanum est

“Humanum fuit errare, diabolicum est per animositatem in errore manere”, sostenevano S. Agostino d’Ippona nei suoi Sermones (164, 14) e altri, in età pre-cristiana, da Cicerone a Seneca il Vecchio. I traduttori non fanno eccezione, anche se a volte lo vorrebbero fortemente!

Nel passato gli errori di traduzione, traduzioni inappropriate oppure considerate eretiche perché non conformi all’interpretazione ufficiale potevano addirittura costare la vita.
È certamente vero che un errore di traduzione può provocare danni incalcolabili.
Sembra che Montecassino sia stata bombardata, nella seconda guerra mondiale, per un errore di traduzione da parte degli interpreti inglesi di un’intercettazione telefonica ai danni dei tedeschi, nella quale la parola “abate” fu confusa con “battaglione”.

È solo un esempio di errore, tra i molti, che hanno in qualche modo cambiato il corso della storia. Tuttavia, anche se non siamo immuni da simili confusioni neppure ai giorni nostri (in più occasioni sono stati scongiurati in extremis incidenti diplomatici a causa di errori dell’interprete simultaneo, che ha interpretato male le parole pronunciate dal parlante), per fortuna il lavoro del traduttore non è sempre così rischioso e carico di responsabilità!
Molto spesso gli errori di traduzione passano inosservati ai più e vengono notati soltanto dagli “esperti del settore”. È il caso, ad esempio, di quei film nei quali i traduttori dei dialoghi originali possono essere vittime dei “False Friends” (ad es. “Silicon Valley” tradotta come “Valle di Silicone” invece di “Valle del Silicio”) o di difficili giochi di parole non facilmente localizzabili in altre lingue.
A volte è possibile incappare in errori ben più grossolani, come ad esempio in quella scena del film “The Blues Brother” nella quale la parola “Harp” è stata tradotta con “Arpa”, ridicola perché fuori contesto, invece di “Armonica a bocca”.
D’altra parte c’è chi sostiene che certi strafalcioni vengano a volte fatti volutamente per adattare il testo ad un pubblico di medio/basso livello, ritenuto incapace di comprendere certe sfumature linguistiche o riferimenti a fatti e persone non a tutti noti.

Altri errori, invece, hanno una cassa di risonanza talmente ampia da non poter passare inosservati, come il caso del cartellone esposto in occasione dell’Expo 2015 di Milano di cui abbiamo parlato in un articolo precedente: “But your ticket at Fieramilano” anziché “Buy your ticket…”. Ai traduttori professionisti, ma non solo, non sono sfuggiti questo come i molti altri passi falsi linguistici della nostrana esposizione mondiale.

L’aspetto economico, in questo caso eclatante, è risultato essere l’elemento discriminante. Se si deve risparmiare, spesso la traduzione è la prima ad essere sacrificata, tra le varie caratteristiche che contraddistinguono un prodotto o un servizio. Tutto ciò si verifica anche in altri settori che, per loro natura, saremmo portati a ritenere immuni da certi episodi.
I lettori più accaniti e attenti avranno certamente notato come la differenza tra le edizioni più economiche e quelle più pregiate dei libri tradotti (romanzi, racconti, poesie, ecc.) stia principalmente nella qualità della traduzione.
In questo caso non si parla di errori veri e propri, ma di sensibilità linguistica, di conoscenza più o meno profonda delle lingue “source” e “target” nonché dell’autore del testo originale.

Oggi, purtroppo, il lavoro di traduzione fatica ad essere considerato nobile e importante. È una vittima sacrificale nell’ottica del risparmio che ormai impera nella nostra società. Intendiamoci, gli errori di traduzione ci sono sempre stati e sempre ci saranno; quello che preoccupa è l’abitudine ad essi.
Il livello culturale medio si è così abbassato che, quando non passano inosservati, vengono sminuiti o giustificati. Povera cultura!

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